01 Marzo 2007.
Bologna.
Flash 1
Via Zamboni angolo Largo Respighi. Ore 14.00. Via vai variopinto di corpi. Gioventù variegata: seria e un po’ ingrigita, colorata e fricchettona, o più semplicemente anonima nella folla, punteggiata qua e là da gruppuscoli di punkabbestia e qualche homeless con bottiglia in mano. Miscuglio confuso di suoni. La comunicazione viaggia sui muri: serata reggae, assemblea, cerco casa, seminario a Lettere, cerco casa, cerco casa… L’odore penetrante di piscio, misto a disinfettante per strade, brucia le narici.
Flash 2
Via Farini angolo P.zza Minghetti. Ore 10,30. Scintillio di vetrine. Passaggio fluido e continuo di persone. Tutte le classi di età. Alcuni anziani con buste della spesa, più lenti. Uomini e donne con passo deciso a tratti frenetico. Qualche studente. Bambini pochi…pochissimi. Niente voci. I suoni e gli odori sono quelli del traffico cittadino…sembra incredibile che il centro sia accessibile solo ai residenti!
Flash 3
Via del Pratello. Ore 22,00. Sotto entrambi i portici gruppetti di persone in piedi davanti ai locali. Bicchiere e sigaretta in mano. In strada via vai libero e polleggiato. Sorrisi, risa, discorsi. Amore, politica, filosofia, cinema, letteratura, cazzate. Odore di Kebab, poi di pizza, cucina pugliese, sarda, bolognese e ancora kebab.
Flash 4
Fiera. Ore 22,30. Spazio vuoto. Silenzio, macchina, macchina…silenzio!
Queste sono solo alcune delle tante facce di una stessa città…Bologna.
Città di anziani residenti e di giovani studenti. Di professionisti e commercianti. Di lavoratori migranti impiegati nell’edilizia e nei rami più bassi del terziario.
Bologna dunque. Città universitaria e città del commercio. Città di servizi ma con una tradizione industriale ancora forte. Città di città. Multiforme e pluridimensionale.
Città di tutti e per tutti?
Forse no.
C’è una parte di Bologna che da tempo gode di una cittadinanza sempre più limitata, che da questa città si sente respinta e non accolta, che ha sempre meno strumenti di partecipazione alla vita collettiva. E questo nonostante sia stata e sia tuttora una risorsa fondamentale per Bologna e per il suo futuro.
Una parte formata da studenti, oggi precari in formazione, giovani donne, migranti.
Sono i nuovi soggetti produttivi che le forme classiche di organizzazione della politica (i partiti) e della rappresentanza (i sindacati) oggi faticano a rappresentare, e che spesso quindi non riescono a far sentire la propria voce, relegata a rumore di sottofondo, per alcuni noioso ronzio.
I nuovi soggetti produttivi, accomunati da una condizione di precarietà che non trova risposte adeguate.
Precarietà che è innanzitutto lavorativa e deriva dall’avere contratti a termine e senza diritti, che in alcuni casi possono essere interrotti anche da un giorno all’altro (come ad es. i co.co.co., le collaborazioni a progetto e occasionali o le associazioni in partecipazione), o dal lavorare addirittura in nero.
Ma che deriva anche dall’impossibilità di accesso a beni e servizi fondamentali quali casa, sanità, trasporti, formazione e tutti i prodotti della cultura e del sapere. Così come dall’assenza di forme di reddito universali, dirette e indirette, almeno come garanzia di uscita dalla povertà e dalla ricattabilità.
Precarietà che ormai investe l’intera esistenza, e significa l’impossibilità di progettare o anche solo di immaginare il proprio futuro.
Siamo un gruppo di studenti, dottorandi, ricercatori, lavoratori precari ai vari livelli, migranti.
Siamo parte di quei nuovi soggetti produttivi che oggi non hanno piena cittadinanza a Bologna.
Da rumore confuso e sottotraccia vogliamo provare a diventare voce collettiva…voce di voci.
Una voce collettiva in cui alle nostre si aggiungano strada facendo le tante e tante voci di quei molti che, come noi, da soli fin’ora non sono riusciti a farsi sentire.
Una voce collettiva talmente ampia e forte da non poter essere più ignorata.
Vogliamo iniziare inchiestando i nostri bi/sogni e quelli di coloro che condividono con noi la condizione di precarietà esistenziale.
Vogliamo quindi costruire una carta di cittadinanza del precariato sociale che ci garantisca finalmente quei beni e servizi da cui oggi siamo troppo spesso esclusi. Un nuovo welfare locale basato sull’accesso ai beni pubblici come premessa di libertà.
Vogliamo una legge regionale per il reddito sociale che ci permetta l’uscita dalla precarietà e allo stesso tempo la possibilità e l’autonomia di scelta sul nostro futuro.
Vogliamo aprire spazi pubblici, spazi di discussione e di democrazia, che siano laboratori per il precariato metropolitano: luoghi di auto inchiesta e di confronto, di libera circolazione, produzione e riproduzione dei saperi, di socialità e di aggregazione.
Vogliamo riprenderci il nostro futuro a partire dalle città che attraversiamo.
Qui e ora!
MetroLab